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Visualizzazione dei post da febbraio, 2018

I fascisti, la costituzione, far volare le sedie in parlamento...

Dice Casa Pound: «Il fascismo è una dottrina politico sociale, non è esattamente una dittatura o uno stato totalitario. Noi non siamo per lo stato totalitario, non vogliamo sopprimere la democrazia. Ci piace che tutti possano liberamente votare ed esprimersi. Lo stato che immaginiamo si realizza compiutamente all’interno della costituzione e della democrazia. Dire che dobbiamo rinunciare al fascismo è anticostituzionale. Il fascismo non lo rinneghiamo. Se i traditori della nazione faranno lo  Ius soli  voleranno le sedie in Parlamento e li andiamo a cercare alla buvette», aveva dichiarato pubblicamente Di Stefano,  leader  di Casapound. In altre parole, va bene il Parlamento, ma solo quando fa le leggi che vanno bene a loro. Poco singolare assonanza con altri periodi storici. Più innovativo, invece, il richiamo alla Costituzione, in accordo, del resto, con una tesi singolare che in queste settimane rimbalza tra giornali, televisioni e social: i partigiani avrebbero fatto la Resistenza

Chiara Giorgi, una recensione a «Forza lavoro» di Roberto Ciccarelli

«Ciccarelli riprende qui e sviluppa così le note critiche femministe alla stessa analisi marxiana, fondate sulla problematizzazione del rapporto tra produzione e riproduzione, sulla centralità assunta dalla questione della riproduzione, sull’individuazione di una divisione sessuale del lavoro presente sin dalle origini del mondo moderno, sulla cifra sessuata dell’accumulazione originaria, del dominio capitalistico 2 . Individua quei dispositivi neoliberali che, ad esempio, obbligano l’individuo come imprenditore di se stesso «a essere libero, e con un’ingiunzione uguale e contraria» lo inducono a «desiderare la subordinazione in cambio di una sicurezza». Dispositivi che stravolgono, degradano l’idea stessa di libertà – soprattutto quella femminile e femminista 3  – affermando un’autonomia che è in realtà affrancamento dalle condizioni sociali collettive, dal contesto relazionale comune, dal terreno del conflitto, dalla «pratica di un’attitudine critica rispetto a sé e agli altri», da q

Étienne Balibar, Il desiderio comunista di trasformare il mondo e se stessi. Una intervista.

«L’orizzonte di un «diritto alla differenza nell’uguaglianza» non ha come obiettivo un’uguaglianza che neutralizza le differenze, bensì «la condizione e l’esigenza della diversificazione delle libertà», come lei ha scritto. Il comunismo come può «stare» a questa  riflessione? È proprio su questo tema che si potrà pensare una transizione da una concezione «rivoluzionaria borghese» dell’uguaglianza a una concezione «comunista». Si deve precisamente passare dall’altro lato dell’equazione, ossia a una concezione della libertà che sovradetermina l’uguaglianza. La libertà borghese è universale, quindi universalizzabile, ma non è veramente differenziale. Cioè la rivolta che produce è all’insegna del diritto comune degli esseri umani a non essere discriminati per le loro differenze antropologiche. Ma questa libertà borghese si astiene dal fare positivamente di queste differenze e del loro libero gioco il contenuto e, per così dire, la tessitura ontologica dell’uguaglianza. Includere l

Giso Amendola, recensione di «Forza lavoro» di Roberto Ciccarelli

«Se Ciccarelli fa un ottimo lavoro mostrando come il lavoro non scompaia per nulla, anzi si diffonda reticolarmente nella produzione postfordista, ancor più è centrale questo suo secondo obiettivo critico: la produzione postfordista, tanto più nella fase della rivoluzione digitale, non solo non elimina il lavoro, e anzi mette al lavoro l’intera vita; ma questo mettere al lavoro l’intera vita non significa mai assoggettarla completamente, senza residuo e senza resistenza. Il rapporto va invece completamente invertito: proprio perché si lavora attraverso l’intera soggettività, i dispositivi di assoggettamento non possono più funzionare come dispositivi totalizzanti, perché i processi di soggettivazione attivi, l’autonomia che caratterizza queste forme di vita/lavoro, sono il motore stesso della produzione contemporanea di valore e non possono mai essere ridotti a zero. Non solo dove c’è potere c’è resistenza, ma, afferma lungo tutto il libro Ciccarelli, facendo risuonare il Deleuze amic

Bertold Brecht, A chi esita

A chi esita Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato. E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo. Siamo sempre di meno. Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili. Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi? O contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua. Poesie  (Einaudi, 2014), a cura di G. D. Bonino https://internopoesia.com/tag/a-chi-esita/

Alberto De Nicola, L’Italia nel ciclo politico reazionario

«Finanziarizzazione, autonomizzazione del lavoro e indebitamento, sono indissociabili dalla demoltiplicazione del paradigma proprietario. Ora, con la recessione economica questo modello entra in crisi per una parte significativa di popolazione: il capitale accumulato perde di valore e gli investimenti falliscono. Più che una “perversa” lotta per la sopravvivenza, gli enunciati microfascisti sono l’espressione di un delirio proprietario che trasforma relazioni sociali e i beni in “oggetti” privati da preservare e difendere (le “nostre donne”, i “nostri figli”, il “nostro territorio”…). Le moltiplicazione delle ”identità” non è altro che l’espressione culturale di un regime di proprietà. Questa particolare angolazione, permette di dire qualcosa di diverso sulla composizione sociale del post-fascismo: nonostante questo interessi molti gruppi sociali, il suo protagonista – quello che ne forgia gli enunciati – non è affatto l’”escluso” o il “penultimo”, ma quella che  Alberto Prunetti

Alberto Prunetti, Appunti sul Social-fascismo. La condivisione delle «idee senza parole»

«Sbraitano contro chi sta dal lato sbagliato del mercato, che è il duce di questi fanatici del quattrino perlopiù impoveriti, palestrati, gonfiati, depilati col laser, incattiviti, impauriti e incapaci di esprimersi in forma argomentata. Dicono che gli stranieri «devono sapere l’italiano», lingua che vituperano sistematicamente a ogni incrocio di commenti nei vomitatoi dei social, dove si riproduce e trionfa una comunicazione pecoreccia e ombelicale, tanto più pervasiva tanto meno si riesce a fare esercizio di complessità, a procurarsi degli strumenti per la comprensione analitica del presente. » https://www.wumingfoundation.com/giap/2016/12/appunti-sul-social-fascismo-la-condivisione-delle-idee-senza-parole/

Antonio Negri, La differenza italiana

«Come possiamo, contro ogni pessimismo della ragione, obbligare l' Angelus Novus a guardare avanti, a onorare il debito che ha contratto con la storia, e a superare la strozzatura del passato?»

Paolo Virno, grammatica della paura

«In base alla rappresentazione tradizionale, la paura è un sentimento pubblico, mentre l'angoscia riguarda il singolo isolato dal prossimo suo. A differenza della paura, provocata da un pericolo che riguarda virtualmente molti membri della comunità e può essere contrastato con l'altrui soccorso, lo spaesamento angoscioso elude la sfera pubblica e concerne unicamente la cosiddetta interiorità dell'individuo. Questa rappresentazione è diventata del tutto inattendibile. Per certi versi, deve addirittura essere rovesciata. Oggi, tutte le forme di vita sperimentano quel «non sentirsi a casa propria», che, secondo Heidegger, sarebbe all'origine dell'angoscia. Sicché, non c'è nulla di più condiviso e di più comune, in un certo senso di più pubblico , del sentimento di «non sentirsi a casa propria». Nessuno è meno isolato di colui che avverte la spaventosa pressione del mondo indeterminato. Detto in altro modo, il sentimento in cui convergono paura e angoscia è immediat

Contro il nichilismo

«Fortunatamente ci sono miriadi di forme di resistenza quotidiana e l'episodica ma ripetuta rivolta  di potenti movimenti sociali [...] Questo conflitto è oggi parte del nostro essere sociale. È in questo senso un fatto ontologico. Il mondo come è – è così che noi intendiamo l’ontologia – è caratterizzato da lotte sociali, le resistenze e le rivolte dei subordinati, e dalla lotta per la libertà e l’eguaglianza. Ma è dominato da una estrema minoranza che regna sulle vite dei molti ed estorce il valore sociale creato da quelli e quelle che producono e riproducono la società. In altre parole, esso è un mondo costruito sulla cooperazione sociale ma diviso dal dominio delle classi dirigenti, dalla loro cieca passione per l’appropriazione e la loro insaziabile sete di accumulare ricchezza. L’essere sociale appare dunque o come una figura totalitaria del comando o come una forza di resistenza e di liberazione. L’Uno del potere si si divide in Due, e l’ontologia è scissa in different

«Uomini che non odiano le donne, ma sono della CGIL»

«La violenza sulle donne, si dice, «è un problema degli uomini e noi uomini, per porvi rimedio, dobbiamo rompere il nostro silenzio e dire la nostra responsabilità». Sembra proprio che, ancora una volta, il soggetto del discorso sia uno soltanto e che sia soltanto maschio e che si tratti soltanto, tanto per cambiare, di un affare tra uomini. Questi uomini mettono sotto accusa le  loro  «credenze», il  loro  «sistema di valori», i  loro  «comportamenti», la  loro  «maschile concezione della vita», il  loro  «universo». Il sospetto è che, in queste parole ripetute continuamente e con scarsa fantasia, ci sia in fondo un malcelato compiacimento per il fatto che il mondo è tutto  loro  e che a  loro  spetta l’arduo compito di cambiarlo. » http://www.connessioniprecarie.org/2017/09/30/uomini-che-non-odiano-le-donne-ma-sono-della-cgil/

Toni Negri: «Nelle lotte sociali, le donne hanno oggi un ruolo preminente rispetto a quello degli uomini e anche rispetto a quello dei lavoratori. »

Udite udite! Abbiamo convinto anche i grandi filosofi! «Nelle lotte sociali, le donne hanno oggi un ruolo preminente rispetto a quello degli uomini e anche rispetto a quello dei lavoratori. Penso a lotte come “Non una di meno”, che è una lotta non semplicemente contro la violenza sessuale, ma contro la violenza che viene più in generale esercitata contro le donne, che è salariale e che tende a escluderle dai vertici dell’organizzazione sociale, oltre che da infinite funzioni. Il tutto mentre elementi che una volta si definivano “femminili” – come intellettualità e affettività – sono caratteristiche fondamentali del lavoro intellettuale e immateriale. C’è un nuovo modo di lavorare che vale per tutti, in cui gli elementi di affettività e passionalità devono essere integrati alla razionalità e alla forza tipiche del lavoro maschile.  Da questo punto di vista, ho l’impressione che il #metoo sia stata una cosa molto limitata rispetto a quello che è il movimento contro la violenza. » http

«non vogliamo piccole riforme in un solo paese, ma una trasformazione radicale della società e la sovversione di rapporti di potere che travalicano i confini nazionali»

«non vogliamo piccole riforme in un solo paese, ma una trasformazione radicale della società e la sovversione di rapporti di potere che travalicano i confini nazionali. Per non fare dell’8 marzo un rito e una performance, abbiamo bisogno di ribadire la novità dello sciopero femminista. Noi abbiamo avuto la capacità di creare un cortocircuito di portare la lotta e il rifiuto della violenza patriarcale dentro i posti di lavoro, e di portare lo sciopero nella società, facendone una pratica sociale di interruzione della riproduzione e ripetizione dei ruoli e delle gerarchie che ci opprimono e che incrementano il nostro sfruttamento. Insistere sullo sciopero riproduttivo significa ricono scere tutti i modi in cui la sessualizzazione e la genderizzazione di ruoli e prestazioni viene messa a valore, in cambio di un salario o gratuitamente.  http s://www.facebook.com/nonunadimenobologna/posts/770526139824507 (...)  Politicizzare il  # metoo  e trasformarlo in  # wetogether  significa riconosc

Non solo le attrici, ma le operaie della Ford. Un'inchiesta del New York Times.

Non chiamatele più «molestie sessuali» chiamatele umiliazioni.  Le umiliazioni, con il loro carico di violenza, colpiscono le donne in molti modi, non solo tramite gli insulti sessuali. Essi non sono che la punta dell'iceberg. Nel lavoro, in famiglia, negli amori, con gli amici, a scuola, all'università,  in ogni regione del mondo, coesistono forme arcaiche e modernissime di umiliazione, subordinazione e sfruttamento delle donne. A volte gli sfruttatori hanno un sorriso tenerissimo. https://www.nytimes.com/interactive/2017/12/19/us/ford-chicago-sexual-harassment.html?smid=pl-share