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#metoo, #wetogether: « una condizione comune nella frammentazione della precarietà esistenziale.» – Caterina Peroni

«Creare, ancora, una condizione comune nella frammentazione della precarietà esistenziale. Ma #wetoogether aggiunge un pezzo fondamentale che ancora non era stato affrontato esplicitamente in queste campagne: la dimensione sessuale della violenza del lavoro. A scorrere gli hashtag la banalità del male ci investe come uno tsunami: chi infatti può dire #NotMe? Le storie raccontate non hanno solo a che fare con stupri o molestie sessuali penalmente rilevanti. Hanno a che fare con la quotidianità esperita dalla maggior parte di donne e persone LGBTQ in ogni sfera della propria vita, soprattutto quella lavorativa – e che individua il nesso tra sfruttamento, precarietà, ricattabilità, violenza sessuale e di genere. Una quotidianità che colpisce i corpi sessualizzati e gerarchizzati strutturalmente nel mercato del lavoro. [...]
E come fare in modo che dalla denuncia, dalla presa di parola, dal riconoscimento e dalla mobilitazione si sedimentino pratiche reali, situate, in grado di rispondere concretamente a chi deciderà di esporsi col suo «metoo» e divenire un together?
Una risposta, forse, abbiamo già iniziato a scriverla. È nel Piano Femminista contro la violenza sulle donne e di genere (titolo com’è noto criticato da Luisa Muraro) di Non Una Di Meno, stilato grazie al lavoro instancabile di centinaia di attiviste e attivisti che hanno animato gli 8 tavoli di discussione, le iniziative, le manifestazioni, e soprattutto lo sciopero femminista dell’8 marzo 2017 – uno sciopero biopolitico, com’è stato definito da Cristina Morini, perché ha messo a tema i processi di estrazione e sussunzione della vita, dei desideri, dei ruoli e delle relazioni di genere, la riproduzione sociale, etc. Uno sciopero insieme sociale e femminista, che ci ha permesso di interrogare e risignificare lo sciopero come strumento non solo di lotta e rivendicazione, ma di pratica politica e di sottrazione. Biopolitico in questo senso: se corpi, soggettività e desideri, ciò che compone il bios, sono strumenti di valorizzazione e quindi di sfruttamento, allora scioperare significa sottrarsi a questa vita, sabotarne la riproduzione, tradirla (ancora con le parole di Morini), dis-identificarsene. Un’intuizione che più che darsi come obiettivo la sua realizzazione qui ed ora è e vuole divenire processo, pratica, esercizio e sperimentazione – e che, come suggerisce Alisa Del Re, dovrà fare i conti anche con le forme già attuali, ma non (ancora) organizzate, di quello sciopero dei e dai generi che praticano le migliaia di donne che scelgono di non riprodursi, di soggetti che non aderiscono entusiastiche all’assimilazione neoliberale etero e omonormativa, etc.
/http://effimera.org/metoo-wetoogether-stormi-maree-ricomposizioni-possibili-caterina-peroni/

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